domenica 13 maggio 2012

Giovani compositori a teatro: Francesco Leineri



Ci sono ambiti in cui la musica difficilmente può prescindere dal contatto diretto dell' ascoltatore con l' artista, esibizioni dal vivo alternative ai concerti. E' la musica che sbarca in teatro, che con esso si mescola, in cui può rientrare una parte recitata. C' è chi sul palco ci sale per fare qualcosa di diverso dal solito, per sperimentare ,ovvero andare alla ricerca dei propri limiti e, una volta individuati, cercare di fare un passettino oltre. A portare in scena le proprie idee lunedì 30 Aprile presso il Teatro Studio Uno di Roma è stato Francesco Leineri, giovane musicista dalle origini palermitane oggi trasferitosi nella Capitale studente al conservatorio di Santa Cecilia. Quello che porta in scena è uno spettacolo dallo svolgimento lineare, il racconto della nascita, crescita e morte di un ascoltatore, di come egli si rapporta nella sua vita con la musica e con il rumore e della relazione che c' è tra queste due manifestazioni del suono. Il suo decoupage (come ama chiamarlo) è figlio delle grandi rivoluzioni della musica degli anni zero, di barriere che cadono, di limiti oltrepassati, di piani espressivi che si influenzano e si confondono a vicenda. Non solo non esistono più differenze tra musica classica, rock, ambient ed elettronica, non solo i diversi generi si mescolano tra loro fino a perdere la propria connotazione distintiva ma i suoni che stanno sullo sfondo, creati attraverso strumentazioni elettroniche possono a tratti diventare i veri protagonisti. Il melange di suoni che ne viene fuori parla di noi, del nostro approccio al suono e all' ascolto. Sebbene il suo tour inizierà ad Ottobre in occasione della prima ho avuto il piacere di fare due chiacchiere con lui.


Fabrizio:
Francesco, la prima cosa che ho notato in sala è stata la reazione molto diversa da parte di ogni spettatore a quello che accadeva sul palco, te lo aspettavi?
Francesco Leineri:
Beh, questa era una prima: di per sé il debutto è sempre un momento molto difficile, non sai mai come andrà o quali potrebbero essere le tue reazioni o quelle di chi ti ascolta. In passato (in particolar modo al debutto di “Tirez sur le pianiste”) la prima non ha quasi mai avuto un totale buon riscontro da parte del pubblico: nel caso di Brusìo io stesso sono stato sorpreso dal buon riscontro della sala, dal fatto che ogni spettatore a suo modo abbia reagito sempre in maniera del tutto estremamente intima e personale. Mi ha fatto piacere anche perché ho riscontrato apprezzamenti nei confronti della “confezione” dell' esibizione: penso sempre alla reazione dell' ascoltatore, faccio attenzione alla durata, alla modalità nella quale mi esprimo, al fatto che ci sia un filo ben preciso da seguire e ad altri aspetti correlati. Avere ricevuto apprezzamenti proprio su questi aspetti è una cosa che mi ha riempito di gioia e mi ha fatto capire che forse il lavoro e i sacrifici non sono stati vani.
Fabrizio:
Nel “decoupage” che hai portato in scena c' è un rapporto molto stretto tra musica e rumore, non a caso s' intitola “Brusio”. C' è un confine tra musica, suono e rumore?
Francesco:
E' molto difficile da individuare, per me. In scena ho cercato di interrogarmi proprio su questo, ma è una domanda che per il momento non ha risposta e che per l’appunto io stesso ho scelto di lasciare aperta. Mi piacerebbe che ognuno, ad esibizione conclusa, potesse trovare la propria risposta dentro di sé.

Fabrizio:
Se è difficile districarsi tra questi concetti apparentemente molto distinti e distanti tra loro a maggior ragione cadono le barriere tra i generi. Sbaglio?
Francesco:
Assolutamente, i generi – o meglio, le etichette - non esistono, quando si tratta di catalogazioni perverse. In Brusìo c’è il filo rosso dei miei pezzi per pianoforte, che però mi permette di passare da suonare un pezzo di Eno (By this river, n.d.r) ad improvvisare profanamente su musiche di Ligeti o incisi di Bach. L' eccessiva settorializzazione probabilmente è stata alla base del disinnamoramento del pubblico verso alcuni generi. La musica classica, purtroppo, non poteva che rimetterci.

Fabrizio:
Già, la classica, devo dire che mi fa una certa impressione vedere come le date più importanti e più numerose di molti teatri riguardino musica dell' 800. Non sarebbe necessario valorizzare qualcosa di nuovo?
Francesco:
Le musiche dei grandi compositori del passato sono importantissime, è studiando quelle che si può affinare al meglio il proprio potere sulla partitura e acuire un maggior senso critico: è a mio modesto parere la migliore scuola che oggi si possa desiderare. D' altro canto, al tempo stesso, è necessario fare musica del terzo millennio per ascoltatori del terzo millennio. Il problema è capire quale sia. Di certo l’ultima cosa da fare è paralizzarsi, come qualche collega compositore che scrive pochissimo. Sarà timore nei confronti dei giganti del passato? Come forse è da evitare il rischio per il quale si arrivi al “successo” scrivendo composizioni eleganti ma prive di carattere e senza idee? La tentazione di ripetere vecchi schemi del passato in molti casi può essere fortissima, ma per scrivere qualcosa di nuovo bisogna mettersi in gioco fino in fondo, soprattutto con amore e sincerità, senza pensare al compiacere necessariamente chi ci ascolta.

Fabrizio:
Ma prima hai detto che all' ascoltatore ci pensi eccome!
Francesco:
Sono due piani distinti. Quando compongo non penso ad altro se non a cercare di esprimere me stesso con tutta la sincerità possibile, al meglio che posso: è questa la mia più grande prerogativa. Quando poi penso al confezionamento dell' opera, all' impacchettamento, alla distribuzione, allora mi preoccupo soprattutto di chi ascolta, ma il contenuto quasi sempre non si tocca.

Fabrizio:
Credo che per non riciclare schemi del passato bisogna conoscere la musica che ci circonda. Quali sono i dischi di musica leggera degli ultimi dieci anni che ti hanno influenzato o che ti sono piaciuti?
Francesco:
Ma mi fai un sacco di domande difficilissime! Oddio…mi è piaciuto un sacco l’ultimo di Tom Waits. O l’ultimo degli Air. Ultimamente mi sono divertito anche ad ascoltare molti di quegli autori, quasi tutti giovanissimi, di questa scena che la critica ama definire “neoclassica”: Nils Frahm, Peter Broderick, Dustin ‘O Halloran. Fra gli ultimi dischi per pianoforte usciti da poco che mi hanno influenzato parecchio c’è lo splendido ultimo lavoro live di Keith Jarrett, inciso a Rio, l’ultimo Craig Taborn, o Vijay Iyer. Andando un po’ più indietro nel tempo un capolavoro assoluto che mi ha paralizzato all’ascolto è il testamento-live ad Amburgo del trio di Svensson, o Leucocyte stesso. L’ultimo di Bugge Wesseltoft. Includo nella lista anche il 90% delle produzioni nel catalogo della ECM. Purtroppo riesco ad ascoltare con poca convinzione i cantautori della nuova scena italiana, eccezion fatta per Nicolò Carnesi e Giovanni Block. Ma questa è un’altra storia. Insomma, potremmo parlare per ore…

Fabrizio:
Ultima domanda, i tuoi progetti per il futuro.
Francesco:
Scrivere, scrivere, scrivere. Parafrasando Stravinskij, l’unico dovere che abbiamo nei confronti della musica è quello di inventarla. 
La pièce teatrale “Petit”, con le mie musiche originali per pianoforte, clarinetto, violoncello e contrabbasso, è andata in scena recentissimamente al Teatro Trastevere di Roma. L’eccezionale duo di Domenco Turi al pianoforte e Massimo Munari al clarinetto ha deciso di interpretare un mio pezzo per un concerto alla Basilica di Santa Cecilia di Roma che si è tenuto proprio ieri. Ho un progetto in cantiere con l’attore Giuseppe Mortelliti del quale preferisco non parlare, per il momento…ce ne saranno delle belle. Continuerò a collaborare con altri musicisti, ma nell’imminente mi impegnerò perlopiù a comporre.





Fabrizio Romano

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