lunedì 16 maggio 2011

Danger Mouse & Daniele Luppi - Rome


Spaghetti Western all’Amatriciana



Danger Mouse, al secolo Brian Joseph Burton, è un musicista e produttore americano divenuto famoso in duo con il rapper Cee Lo Green con il quale, sotto il nome di Gnarls Barkley, ha pubblicato due dischi di grande successo. A questi ultimi ha collaborato anche Daniele Luppi, un compositore italiano che vive da dieci anni in California, ossia da quando la sua musica giunse, da Roma, alle orecchie di numerosi produttori statunitensi. Ed è proprio in quegli anni che nasce l’idea di registrare un album insieme. Rome, che esce oggi per l’etichetta Parlophone, è il frutto di cinque intensissimi anni di lavoro fianco a fianco. Un disco molto chiacchierato e atteso sin dall’annuncio ufficiale della sua pubblicazione per via sia della partecipazione di due stelle straordinarie della musica internazionale, quali sono Jack White e Norah Jones, che del clima di elevate aspettative create magistralmente da una campagna pubblicitaria e mediatica filtrata attraverso tutto lo scibile telematico. A destare in me la maggiore curiosità è stato senza dubbio questo nostro connazionale di cui fino a pochi mesi fa non avevo mai sentito parlare: la tradizione della composizione italiana, e il rinnovamento attuale dovuto all’ascesa di figure di grandissimo spessore come, ad esempio, Teho Teardo nel panorama mondiale, hanno di certo reso l’attesa per l’ascolto di questo lavoro molto più lunga e tediosa. Ma il tutto è stato ripagato con profumatissimi e armoniosi interessi.

Il disco di Luppi e Danger Mouse vuole essere la colonna sonora della Città eterna, è chiaro sin dalla traccia d’apertura, Theme of Rome manco a dirlo. In parole povere, se si vuole fare un processo alle intenzioni, fatelo subito. A, diciamo così, rappresentare l’Italia non c’è soltanto Daniele Luppi: tutti gli strumenti utilizzati, organo, percussioni e celesta oltre alla sezione ritmica e alle chitarre, vengono suonati da musicisti della nostra Penisola. Jack White arriva alla seconda canzone, The Rose with the Broken Neck, intenso canto solitario e sconsolato molto ben connesso a dei suoni delicati prodotti con pochi essenziali strumenti, senza eccessivi barocchismi. Il turno di Norah Jones, sensazionale a tutto tondo nel suo contributo, è alla quarta traccia, Season’s Trees. Questa esprime perfettamente l’approccio radicalmente nuovo ideato dai due musicisti per raccontare la primavera romana attraverso i suoi alberi di stagione. Non è Lando Fiorini, non sono stornelli di una Roma capoccia, sono sottili e dolci trame che dipingono su un pentagramma Villa Borghese in fiore. L’utilizzo degli intermezzi costituisce una forte scelta in direzione della fluidità, rendendo l’ascolto del disco molto scorrevole; è senz’altro sintomatico di un lavoro molto ben concepito ed elaborato. Questi intermezzi rappresentano il movimento, sono come un tram che attraversa le strade, i quartieri e le stagioni dell’Urbe. Two Against One e Black, messe in rete prima dell’uscita del disco, sono forse le uniche canzoni che potrebbero essere concepite come singoli. E’ un tutt’uno: storie d’amore vissute sul Lungotevere si intrecciano a descrizioni di momenti quotidiani, come Morning Fog e Her Hollow Ways. Roman Blue rappresenta un adattamento in chiave contemporanea di Morricone, i cui abbondanti e generosi semi sono sparsi un po’ dappertutto nei 35 minuti di durata dell’album. L’impostazione deve molto alla produzione morriconiana, ma la principale differenza è data da alcuni elementi che rendono il disco a tratti pop. Effettivamente, Morricone ha inventato questo modo di fare musica quindi è difficile, probabilmente impossibile, discostarsi molto da quel tipo di struttura. Il merito di Luppi e Danger Mouse sta nell’aver cercato di affiancarsi a quel tipo di produzione contribuendo ad un suo rinnovamento. Rinnovamento al quale, non è male ripeterlo, hanno partecipato in maniera del tutto fondamentale Jack White e Norah Jones, i quali rappresentano le uniche voci presenti su Rome.

Non so se questo lavoro riceverà il successo che merita, francamente poco mi importa. Credo possa senza dubbio costituire un momento di svolta sia per questo modo di intendere la musica che per il rinnovato interesse per il nostro Paese che susciterà tra gli addetti ai lavori. Insomma, Quid melius Roma?

[Andrea Polidoro]

P.S. Ecco di seguito il link per ascoltare l’album in streaming:

2 commenti:

  1. Finalmente un disco con una certa unità e compattezza! Ultimamente ascolto sempre cose che non hanno una gran coerenza di fondo, uno stile definito, o quando una certa coerenza c'è questa è in realtà piattume e\o mancanza di idee.
    Tra le eccezioni riguardo il 2011 Fleet Foxes, Low e Anna Calvi. Ecco, con quest'ultima l'album in questione mi sembra associabile. Non so perché ma l'apertura Theme of Rome mi sembra Rider to the sea e più in generale c'è nella musica una certa ariosità, sollenità che me li fa accomunare. Forse viaggiano entrambi in un'ottima direzione, che non è per niente male, in uno scenario musicale, come quello odierno, che ha ben pochi riferimenti.
    Rome però sembra mancare di qualcosa, ok la bellezza melodica, l'incastrarsi perfetta dei singoli elementi, però manca di una spinta.
    I pezzi migliori a mio avviso sono:
    - The Rose with the Broken Neck
    - Black
    - The Matador is fallen
    tra cui spicca Black, che ha quel senso di compiutezza che manca all'album.
    Peccato da una parte, un benvenuto a quest'album dall'altra.


    Ultima cosa: Roma. Ma gli addetti ai lavori hanno mai passeggiato nella Roma di oggi? Di quale Roma parlano? Oppure è come hai detto tu, Andrea, è Villa Borghese in fiore, senza auto, bancarelle e fotografi onnivori.
    Seconda nota: perché non dovrebbe interessare il successo di un album bello come questo?

    RispondiElimina
  2. Credo innanzitutto sia un disco di transizione: apre un'infinità di scenari possibili, che noi staremo sicuramente a guardare. Sì, manca di qualcosa ma questo appena detto è un suo merito indiscutibile, che lo rende già così un ottimo disco di cui sono sicuro si tornerà in futuro a parlare.
    Su Black mi trovi d'accordissimo: è il miglior pezzo dell'album e gran parte del merito è proprio di Norah Jones. Sinceramente, forse mi aspettavo qualcosa in più da Jack White.
    Per la prima questione da te sollevata, credo sia legata ad una concezione mitizzata e magica dell'Urbe che, fortunatamente, alcuni riescono ancora a vivere. Probabilmente è più facile farlo tornandoci di tanto in tanto come faccio io, che rimango sempre estasiato dalla sua bellezza disarmante e non mi curo più di tanto del traffico e del caos.
    Non mi sono spiegato bene, in realtà. Io sto facendo a questo disco una promozione che mai prima d'ora mi era capitato di fare perché lo ritengo un lavoro che merita di essere ascoltato da più persone possibili. Però, ecco, non mi interessa se tutti ne comprenderanno la grandezza e la prospettiva. Tutto qua.

    RispondiElimina