giovedì 10 novembre 2011

Vantaa di Vladislav Delay esplora mondi gelidi

                                                                                                             




C' era una volta Sasu Ripatti, un batterista che studiava per diventare un grande musicista jazz. Ad un certo punto Sasu si stacca da quel genere, sente nell' aria quella puzza di cadavere di cui già Frank Zappa parlava alla fine del millennio scorso.
E' la svolta. Il protagonista della nostra storia cambia casacca e si getta a capofitto in numerosi esperimenti. La sua personalità inizierà a sdoppiarsi e quadruplicarsi, utilizzando un discreto numero di alias a seconda della situazione: sarà Luomo se ha a che fare con la vocal house, Uustialo o Sistol se si tratta di club music, Vladilav Delay se si cimenta nella ambient/noise, unirà il suo aka con quello della moglie (Agf/Delay) per cimentarsi nella forma canzone e nel pop, infine formerà un quartetto, il Vladislav Delay Quartet, per tornare alla batteria ed al jazz/noise.
Oggi Sasu ritorna come Vladislav Delay, il suo alter-ego più autentico, come lui stesso afferma: “Vladislav Delay, fondamentalmente sono io”. Il suo nuovo disco, Vantaa, è un tuffo. Un tuffo nella sua anima, nella sua musica, ma anche nelle acque della sua Finlandia, un gioco di rimandi continui e di successioni mutevoli che collegano in modo inscindibile l' uomo alla natura, descrivono l' uno come parte del tutto, dipingono il mondo interiore dell' artista per riflettere l' ambiente esteriore in cui vive fino a perderne i contorni.
Già come fece un grande compositore con un passato da batterista batterista come Robert Wyatt nell' incipit di Sea Song, Delay utilizza già dalla seconda traccia “Henki” dei sospiri come stratagemma per portare con l' immaginazione l' ascoltatore in riva al mare, ma a differenza dell' ex Soft Machine non li usa per intessere la sezione ritmica ma li pone sullo sfondo. Il disco procede rassicurante nel suo stile ambient ribaltandone la prospettiva: da musica che si attaglia ad un certo ambiente ed è sempre diversa proprio perché ridondantemente sempre uguale, a composizioni che descrivono paesaggi e stati d' animo. Non è la prima volta che Delay si cimenta in viaggi interiori e flussi di coscienza, lo aveva già fatto nel suo capolavoro “Anima”, disco composto da una sola traccia di un' ora, Ulisse della musica elettronica. Stavolta cambia la prospettiva, è come se mondo interiore e mondo esteriore si fondessero in un liquido, rendendo la metafora del mare, che percorre tutto il disco, ancora più efficace.
Ma la visione panteistica fino a questo punto dominante viene interrotta bruscamente nel pezzo “Lauma”, vero apice dell' album, in cui materia e non materia si scontrano una progressione devastante e drammatica, dove le tensioni noise prendono pian piano il sopravvento sull' incalzare continuo del beat, deflagrando nell'ultimo minuto.
A questo punto del disco le tensioni rumoristiche diventano protagoniste, turbano l' equilibrio della composizione, rendono plastica e viva la struttura armonica.
Un tuffo, si diceva, con cui si sprofonda nel mondo di Sasu Ripatti e se ne riemerge placidamente scossi.

Voto: 7,5


Fabrizio Romano

Potete asoltare l' album in streaming qui

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