sabato 30 aprile 2011

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giovedì 28 aprile 2011

Intervista: Francesco Di Bella


La mia intervista a Francesco Di Bella, cantante dei 24 Grana, qualche settimana fa allo Zammu' di Bologna.
Un ragazzo eccezionale, davvero molto cordiale e simpatico. Abbiamo avuto modo di parlare della genesi dell'ultimo disco del gruppo partenopeo, La Stessa Barca, e di temi sociali di grossa rilevanza.
Buona visione.

[Andrea Polidoro]

sabato 23 aprile 2011

Marta sui Tubi - Carne con gli occhi





Nati dall’incontro tra due siciliani, Carmelo Pipitone e Giovanni Gulino, i Marta sui Tubi rappresentano, senza dubbio, una tra le migliori band italiane. Nel 2003 pubblicano il loro primo album dal nome Muscoli e Dei, sotto il sapiente sguardo di Fabio Magistrali, già produttore di numerosi artisti italiani tra cui Bugo, Afterhours e molti altri. Il disco viene ben recepito e diventa una vera e propria perla del panorama underground italiano. Il secondo lavoro, C’è gente che deve dormire, esce nel 2005 e non fa che confermare la bravura del gruppo, il cui organico si è allargato. Con il terzo lavoro, Sushi e Coca, i Marta sui Tubi, conquistano il pubblico italiano, in quello che è un vero e proprio capolavoro musicale e che li porta a centinaia di concerti lungo tutta la penisola. Le esibizioni dei Marta prendono, a questo punto, una nuova forma, includendo performance di recitazione partecipata e altre forme di arte, come il titolo stesso del tour, Arte sui Tubi, suggerisce.
È da qui che bisogna partire per analizzare il quarto “figlio” dei Marta, Carne con gli occhi, pubblicato poche settimane fa dalla milanese Venus.
Ci sono vari elementi che saltano subito all’occhio, o all’orecchio, di chi ascolta questo album. Il primo è la violenza e la potenza. Già in un’intervista rilasciata aii loro fan dal sito della band, Giovanni Gulino aveva definito l’album “quasi metal”. Lungi dal utilizzare questo aggettivo, la forza delle composizioni è indubbia. Esempio pratico è la traccia Guinzaglio, dove la voce, ancora più maestosa del normale, è accompagnata da un riff di chitarra decisamente aggressivo, nonché da un testo molto diretto “io vorrei solamente che tu, ti levassi dai piedi”.
Altro elemento di rilievo è una certa influenza di alcuni artisti italiani come i Massimo Volume e persino Elio e le Storie Tese. Queste “citazioni” sono sicuramente il risultato delle contaminazioni artistiche che già avevano preso forma nelle esibizioni live del gruppo. Camerieri è un pezzo che non può che richiamare i Massimo Volume, con la voce di Gulino che ben si presta alla velocità della lirica, voce che ancora una volta si rileva incredibilmente duttile e energica. Le cose più belle son quelle che durano poco, contiene un intermezzo registrato con un simulatore vocale il quale tramite frasi non-sense, simula un risponditore automatico intento a propinarci le migliori stronzate, tra cui la mia preferita “se vuole conoscere tutte, ma proprio tutte, le avventure sessuali di Gigi D’alessio, prema il tasto 3”. Non da meno il pezzo Muratury, storia assurda di una ragazza “prima zita cu u sbirru, ora zita cu u muratury”; anche questo pezzo, sicuramente molto “hard” da un punto di vista sonoro. Le due canzoni non possono non ricordare il lavoro e le storie di Elio, insieme alla recitazione cantata dei Massimo Volume.
Ultimo elemento di rilievo dell’album è un certo sinfonismo di molte delle canzoni. Alcune di esse, infatti, hanno una forma decisamente nuova, sicuramente più completa e complessa di quelle a cui eravamo abituati. Sicuramente molto più peso viene dato alle tastiere e al violoncello come dimostra la coda della canzone di apertura Basilisco. Anche i testi hanno un tocco di teatralità per alcuni versi nuovo, rimanendo sempre di grande ispirazione e intuitività. Nulla toglie che, in ogni caso, le composizioni rimangano legate alla propria tradizione, con le meravigliose creazioni della chitarra acustica di Carmelo Pipitone che, ancora una volta, mette in mostra le sue capacità artistiche e compositive.
Il disco si chiude con Cromatica, bellissima fiaba sui colori in pieno stile Marta sui Tubi.
Non credo si possa nascondere una certa evoluzione, più marcata in alcune parti specifiche, nello stile compositivo dei Marta che, al quarto album, si confermano band eccezionalmente dotata e fantasiosa. Nonostante questo, l’ombra di Sushi e Coca, album della maturità e superbo disco, si allunga su ogni nota, sminuendo leggermente, anche se in maniera indiretta, questo lavoro, che, ripeto, è un meraviglioso lavoro.
In otto anni, i Marta sui Tubi sono passati da piccola band underground a fenomeno nazionale, quasi mainstream, ad un passo persino dalla partecipazione a Sanremo con Anna Oxa. Non credo di esagerare dicendo che i Marta hanno preso il posto che negli anni ’90 ricoprivano gli Afterhours.
In definitiva, Carne con gli occhi rimane il modo migliore che voi avete di spendere 15 euro per questo mese.

[Tetris]

martedì 12 aprile 2011

Anna Calvi @ Circolo degli Artisti (Roma) 11/04/2011




Nessuno è voluto mancare. L' appuntamento è di quelli che capitano una volta e poi chissà se di nuovo e se di nuovo chissà come. Il concerto di Anna Calvi ha registrato il sold-out nella mattina del giorno del concerto. Arrivando al Circolo degli artisti erano in molti alla ricerca di un biglietto, ma con poche speranze.

La fama di fenomeno la precede e, si sà, non c' è niente di peggio che deludere le aspettative di un pubblico di nicchia(e dunque di appassionati) in un live. Anna Calvi inizia senza proferire parola, con il pezzo strumentale che apre il suo primo album: Rider of the sea. La signora comincia mostrando la sua abilità alla chitarra, scorre con il plettro su e giù le corde (cosa mai vista fare), dando la sensazione che le note fluiscano dolcemente, come le onde del mare, appunto. L' incipit corrisponde perfettamente al senso della sua musica: non apre con un pezzo che spacca, con uno dei più celebri, al contario introduce dolcemente l' ascoltatore alle successive composizioni.

Anna inizia a scaldare la voce con il primo pezzo, è ancora incerta, fà il compitino, forse non si trova a suo agio. Forse sono i primi applausi ad incoraggiarla, forse i primi sorrisi del pubblico o semplicemente aveva finito la preparazione, fatto stà che il resto del concerto è un crescendo, spazia nel suo repertorio con estrema agilità e ripropone una cover di Elvis, Surrender, che avrebbe potuto benissimo trovare posto nel disco. L' apice lo raggiunge nell' ultimo pezzo: Love won't be leaving, in cui abiltià chitarristica e vocale si fondo all' unisono per la gioia evidente degli spettatori che strabuzzano gli occhi e le orecchie.

Ora è necessaria una considerazione. Amo il rock e adoro il punk. Eppure ci avevano convinto da molto tempo a questa parte che il "bel canto", quello accademico, fosse sinonimo di poca espressività, di bravura fine a sé stessa. Inoltre è noto che se sei un rocker nei live il disco lo devi sporcare, serve a dargli grinta, a rendere i pezzi più "materiali", quasi da poterli toccare. Poi arriva questa ragazza di 28 anni, fà il suo bel disco in cui non ha paura di mostrare il suo canto classico, arriva al live e non sporca mezza nota, non cambia niente, neanche di mezzo tono. Eppure come si combina bene tutto, composizione e voce! Non puoi far altro che rimanere ad ascoltare. Non è che il rifiuto dell' accademismo era semmai una scelta? Canta come vuoi, l' importante è che il messaggio che cerchi di comunicare sia espresso efficacemente. Anna Calvi è il vecchio vestito di nuovo, è Maria Callas che imbraccia una chitarra elettrica. 

Il concerto finisce dopo un' ora, compatto, coerente nello stile. La sensazione è che se questa ragazza riusicrà ad evolvere, non perdendo la sua classe e proponendo qualcosa di nuovo si possa effettivamente parlare di una gigantessa. 
Verso la fine mi giro verso il ragazzo che è venuto con me al concerto e mi dice "E affanculo Campovolo!". C' è da dargli retta.

[Fabrizio Romano]


Estratti dal concerto:


sabato 9 aprile 2011

Calibro 35 - Sonorizzazione di Milano odia: la polizia non può sparare @ Cinema Perla 6.4.2011




Mi trovo seduto nella poltrona di un cinema di semiperiferia, aspetto inizi un concerto. Ecco, questa cosa, il fatto di trovarmi in un cinema per ascoltare un gruppo, non mi suona strana, non mi turba assolutamente. Sarà che guardo con piacere al rimodellarsi della musica, alla sua ridefinizione; è una cosa che trovo quanto mai necessaria. Non credo la musica si faccia negli stadi e nei palazzetti: lì domina quasi sempre lo showbiz. Quella che intendo come musica, quale modalità di espressione artistica personale, ha una caratteristica che è propria di un mondo ad essa lontano come la politica. Entrambe si fanno dappertutto, nascono, crescono, marciscono e, a volte, periscono tra la gente. Stasera la gente è un pubblico in attesa che scambia due battute sull’ultimo disco di Daniele Silvestri e dei Radiohead, che si lamenta dei problemi incontrati nello scaricare quello o quell’altro album nonostante Fastweb. Chiacchiere da bar, insomma. L’ambiente è disteso: anche qui è 6 aprile, ma non si celebra il processo al coito di Ruby. C’ero già stato al Cinema Perla per un concerto, ma l’aria era diversa; per certi versi posso affermare che i Calibro 35 hanno un pubblico sicuramente più sapiente. Tra me e me penso, memore dell’ottima acustica della sala, che è il posto giusto per sonorizzare uno dei film cult dei poliziotteschi italiani degli anni Settanta, Milano odia: la polizia non può sparare di Umberto Lenzi.

Sono circa le 22 quando si abbassano le luci, i Calibro salgono sul palco ed ha inizio la proiezione. Mentre scorrono le prime immagini, Rondanini batte insistente sulla grancassa e dopo poco entra l’organo di Gabrielli. L’avanguardia del funky jazz all’italiana accompagna la fuga della banda di Tomas Milian dall’inseguimento delle Madame con un trasporto sensazionale, facendo sussultare il pubblico ad ogni curva. La storia del film, fatta di omicidi efferati e scriteriati uniti al sequestro di una giovane donna, trova il partner ideale negli ingressi improvvisi e calzanti dei quattro protagonisti veri della serata, che rileggono le composizioni di Ennio Morricone per dare forma e sostanza alla tensione, alla paura, all’odio.

Enrico Gabrielli, senza dubbio l’elemento più peculiare ed eclettico della band, da vita al sax ed al flauto traverso mentre il commissario Grandi continua ad indagare sull’incredibile serie di crudeli uccisioni perpetrate da un folle malvivente. I Calibro si trovano nella nostra stessa posizione: con lo sguardo rivolto verso lo schermo, guardano il susseguirsi degli eventi.

In questa esperienza, il rapporto tra musica e cinema rivive i fasti del cinema muto. Le due forme di espressività artistica diventano assolutamente complementari, e l’una obbliga l’altra a mostrarsi nel suo vestito migliore. Per l’occasione i quattro sul palco sembrano indossare un elegantissimo frac, tanta è la brillantezza con la quale riescono a interpretare la trama sonora del film.

Dopo più di un’ora e mezzo, la morte di Guido Sacchi per mano dell’ormai ex commissario Grandi conclude il film e con esso la performance dei Calibro 35 che ricevono un lungo, meritatissimo, applauso da parte di un pubblico restato immobile ed in silenzio per l’intera durata della proiezione. Di fuori, vedo sorrisi stampati sui volti e i musicisti a chiacchierare con i fan. Felice e soddisfatto torno a casa con la mia compagnia, convinto che questo sia ciò di cui la musica ha bisogno. Qualità e facce pulite.

[Andrea Polidoro]





lunedì 4 aprile 2011

Io & Il Principe: Scatti multipli di una vita da ragazzo


Francesco De Gregori l'ho ascoltato da bambino, come molti di voi, per la prima volta. Lo stereo della Renault 5 di mia madre non era molto fornito: Canzoni d'amore, oppure La giostra della memoria di Ruggeri. Ogni tanto Cambio, di Lucio Dalla. Avete presente quei dischi che dimenticherete con molta difficoltà? Esatto, quelli.

Eppure, se penso a De Gregori, mi vengono in mente ricordi, istanti vissuti e catturati, pensieri, sogni. Rigorosamente alla prima persona, il più delle volte singolare. In ogni canzone un attimo, in ogni strofa uno sguardo verso il cielo. In certi casi anche una parola il cui utilizzo è, oramai, abitudinario.

Oggi è il sessantesimo compleanno di Francesco De Gregori, l'ho abbondantemente ribadito in questa giornata.

Queste sono le canzoni, in ordine di pubblicazione, che più hanno segnato, finora, la mia vita. Non quelle che reputo più belle, attenzione bene, ma quelle legate a particolari momenti, a particolari persone.

Tanti auguri, Principe. Devi campare cent'anni.

La libertà trovata in fondo al filo di un aquilone.

Oltre quel monte il confine, oltre il confine chissà.

Il ricordo di una donna vale più di dieci lire.

- Informazioni di Vincent [http://www.youtube.com/watch?v=0t2m9Fq1M1o]
E' una sera che il fiore mi pesa, e le stelle mantengono i loro segreti. Più freddamente che mai, guardo le mie povere cose.

Il primo amore.

Spago sulla mia valigia non ce n'era, solo un po' d'amore la teneva insieme.

Ma mio padre è un ragazzo tranquillo, la mattina legge molti giornali: è convinto di avere delle idee e suo figlio è una nave pirata.

Adoro ogni parola di questa canzone, dalla prima all'ultima, e mi chiedo sempre chi fosse Culo di Gomma, famoso meccanico amico di Bufalo Bill. "Avevo pochi anni e vent'anni sembran pochi, poi ti volti a guardarli e non li trovi più". 

Lucio Dalla dice di invidiare moltissimo questa canzone a De Gregori. Non faccio fatica a crederci, ho le lacrime ogni volta che la ascolto.
Per chi vive all'incrocio dei venti ed è bruciato vivo.

  Perché la notte è crucca ed assassina.

Dovrei ricopiare per intero l'ultima strofa, mi limito a sperare la ascolterete.

Mio fratello si è laureato due volte, io non c'ero mai. Capita spesso mi senta il "fratello dimenticato che vive in
un'altra città".

Caterina era mia zia, la sorella di mia madre. Aveva folti capelli ricci, come i miei. Occhi verdi, come i miei.
"Chissà se giochi ancora con i riccioli sull'orecchio, o se guardandomi negli occhi mi troveresti un po' più vecchio".

- L'abbigliamento di un fuochista [http://www.youtube.com/watch?v=ireHGt0ivwA]
Il rapporto madre-figlio.
"Figlio che avevi tutto e che non ti mancava niente, e andrai a confondere la tua faccia con la faccia dell'altra gente".

Un'altra canzone della mia prima storia d'amore.

Altre storie.
"Troppe volte zero, baby, non vuol dire uno".

Tu che non credi ai miracoli, ma li sai fare.

- Il bandito e il campione [http://www.youtube.com/watch?v=KiU4KC1_aIs]
  Io, un caro amico e la ricerca di Sante il Bandito.

[Andrea Polidoro]

domenica 3 aprile 2011

Recensione: R.E.M. - Collapse into now





Era il 1981 quando quattro studenti dell’Università della Georgia pubblicavano, in mille copie, il loro primo singolo, Radio Free Europe, manifesto indiscutibile di quel genere che sarebbe stato poi definito alternative rock. I R.E.M. sono tra le band più sottovalutate degli ultimi decenni nonostante, nella loro trentennale carriera, abbiano realizzato dischi formidabili mantenendo sempre uno standard molto elevato, nettamente al di sopra della media. Questo potrebbe averli danneggiati: probabilmente un bel disco dei R.E.M. non è una cosa che fa notizia, è una costante. I gruppi che toppano al secondo o terzo album rappresentano una regolarità; l’incredibile forza di Stipe & co. è stata proprio la capacità di fornire prodotti di ottima qualità lungo l’intera durata della loro carriera. Effettivamente Collapse Into Now, il loro quindicesimo lavoro in studio, non sfugge a questa logica. Registrato tra Berlino, Nashville e New Orleans, è stato anticipato da tre singoli lanciati a distanza di una settimana l’uno dall’altro a cavallo tra gennaio e febbraio ed infine pubblicato il 7 marzo. Discoverer, la traccia d’apertura, sembrerebbe una b-side di Accelerate se non fosse per la voce sonora e penetrante di Michael Stipe che le dona quegli elementi propri dei lavori degli anni Novanta della band di Athens. Überlin e Oh myheart, la preferita di chi scrive, intervengono a modificare lo scenario: hanno i connotati di due ballads in cui lo splendido canto di Stipe riesce a espandersi liberamente, in un climax di emozioni che non può lasciare indifferenti. It happened today vede la partecipazione di Eddie Vedder e chiarisce quali sono le intenzioni dei R.E.M.: tenere una finestra aperta sul proprio passato senza distogliere lo sguardo da possibili innovazioni. L’ascolto prosegue facile grazie anche alla rassicurante presenza della Rickenbacker 360 di Peter Buck; Everyday is yours to be win Walk it back rappresentano nuovamente le due anime non sopite della band, quella rock e quella più melodica. Collapse Into Now, ulteriore e non necessaria conferma della loro smisurata classe ed eleganza, è un disco davvero piacevole che dà il meglio di sé nella parte centrale e nell’epilogo: Patti Smith presta la sua voce in Blue, dodicesima ed ultima traccia, che chiude questo nuovo esaltante episodio di una saga lunga trent’anni, lontana, speriamo, da una tanto rumoreggiata fine. I R.E.M. sono ancora in grado di dire la loro e si candidano pienamente a conservare un ruolo di primo livello nel panorama musicale del decennio da poco iniziato. Ce lo auguriamo in tanti.

[Andrea Polidoro]