Era il 1981 quando quattro studenti dell’Università della Georgia pubblicavano, in mille copie, il loro primo singolo, Radio Free Europe, manifesto indiscutibile di quel genere che sarebbe stato poi definito alternative rock. I R.E.M. sono tra le band più sottovalutate degli ultimi decenni nonostante, nella loro trentennale carriera, abbiano realizzato dischi formidabili mantenendo sempre uno standard molto elevato, nettamente al di sopra della media. Questo potrebbe averli danneggiati: probabilmente un bel disco dei R.E.M. non è una cosa che fa notizia, è una costante. I gruppi che toppano al secondo o terzo album rappresentano una regolarità; l’incredibile forza di Stipe & co. è stata proprio la capacità di fornire prodotti di ottima qualità lungo l’intera durata della loro carriera. Effettivamente Collapse Into Now, il loro quindicesimo lavoro in studio, non sfugge a questa logica. Registrato tra Berlino, Nashville e New Orleans, è stato anticipato da tre singoli lanciati a distanza di una settimana l’uno dall’altro a cavallo tra gennaio e febbraio ed infine pubblicato il 7 marzo. Discoverer, la traccia d’apertura, sembrerebbe una b-side di Accelerate se non fosse per la voce sonora e penetrante di Michael Stipe che le dona quegli elementi propri dei lavori degli anni Novanta della band di Athens. Überlin e Oh myheart, la preferita di chi scrive, intervengono a modificare lo scenario: hanno i connotati di due ballads in cui lo splendido canto di Stipe riesce a espandersi liberamente, in un climax di emozioni che non può lasciare indifferenti. It happened today vede la partecipazione di Eddie Vedder e chiarisce quali sono le intenzioni dei R.E.M.: tenere una finestra aperta sul proprio passato senza distogliere lo sguardo da possibili innovazioni. L’ascolto prosegue facile grazie anche alla rassicurante presenza della Rickenbacker 360 di Peter Buck; Everyday is yours to be win e Walk it back rappresentano nuovamente le due anime non sopite della band, quella rock e quella più melodica. Collapse Into Now, ulteriore e non necessaria conferma della loro smisurata classe ed eleganza, è un disco davvero piacevole che dà il meglio di sé nella parte centrale e nell’epilogo: Patti Smith presta la sua voce in Blue, dodicesima ed ultima traccia, che chiude questo nuovo esaltante episodio di una saga lunga trent’anni, lontana, speriamo, da una tanto rumoreggiata fine. I R.E.M. sono ancora in grado di dire la loro e si candidano pienamente a conservare un ruolo di primo livello nel panorama musicale del decennio da poco iniziato. Ce lo auguriamo in tanti.
[Andrea Polidoro]
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